LA MATERIA DETERMINA LE FORME DELL'ARTE

Le installazioni di Bonomi e Cella entrano a tutto diritto nel contesto urbano trasformando alcuni luoghi conosciuti e dall’apparenza scontata in sorprendenti realtà ricche di stimoli e di nuove visioni. “La materia determina le forme dell’arte”, e ciò è vero in tutti i sensi perché la superficie visibile delle opere veste contenuti stabilendo un rapporto diretto con essi.

In questa mostra diffusa i materiali di cui sono fatte le rendono di immediata lettura, nel senso che accentuano la loro “differenza” dal luogo con cui si relazionano, ma nello stesso tempo parlano più facilmente di sé stesse e dei propri significati che si rivelano con leggerezza anche se articolati e profondi. Del resto i lavori dei due artisti attingono a un immaginario collettivo “moderno” fatto di cultura alta e frequentazioni pop, in cui album di fumetti, visioni cinematografiche, video pubblicitari, serie tv, giornali, riviste ma anche tanta storia, e storie, dell’arte hanno lasciato le proprie tracce in mille forme.

Ambedue in una doppia intervista concessa qualche anno fa alla domanda “Qual è l’opera che avresti voluto fare? La più bella della storia, e perché?” hanno risposto citando un’opera di Duchamp. Opere diverse (“Con rumore segreto”, la più filosofica; “La scatola in valigia”, la più inusuale) e per motivi diversi, ma ambedue prodotti di una mente che ha fatto dell’intelligenza, della riflessione e anche dell’ironia la materia vitale della propria arte.

Come in Duchamp le opere di Bonomi e Cella sono delle Proposizioni verbo-oggettuali in cui il titolo è importante quanto la “cosa fatta”. È proprio sull’incommensurabilità tra parole e immagini, ma sul loro richiedersi a vicenda, che si gioca il senso concettuale di certi lavori che “esponendosi” fanno riflettere sul loro statuto e sugli strumenti che l’umanità si è dati per conoscere e possedere il mondo in cui abita. I personaggi di Cella hanno proporzioni dei corpi innaturali ma “vero”simili e certe bruttezze sono rese, grazie alla resina e ai colori industriali, con una bellezza allo stesso tempo artificiosa e genuina. La loro mimica stereotipata sembra quasi un modo per esorcizzare il vero disagio che ben altra mimica produrrebbe. Le composizioni di Bonomi invece portano con sé la bellezza pratica dell’oggetto d’uso di plastica industriale, quella che Bruno Munari definiva “la bellezza come funzione”. Un monito, forse, a rivedere le categorie di ciò che abbiamo scelto come compagni della nostra quotidianità.

In tutti queste installazioni c’è certamente una sottile ironia ma anche una sfacciata sincerità e il sorriso che esse provocano non ha nulla a che fare con una risata sguaiata, al contrario è il segno della sorpresa che si prova di fronte a un gioco dell’intelligenza e dell’arte che svela paradossi e contraddizioni, ovvero verità su sé stessi e sulle “cose del mondo”.

Fabrizio Parachini